I tempi sono cambiati. E se fino a non troppo tempo fa l’industria italiana era in grado di risolvere i propri problemi in maggiore tranquillità, tendenzialmente a porte chiuse, l’Italia sta oggi diventando sempre più una preda per gli azionisti speculatori.
Ad accorgersene sono soprattutto le società di analisi internazionale, con gli investitori nordamericani e britannici, che di norma prediligono stili di investimento più aggressivi, che hanno costantemente rafforzato la propria presenza in Italia da quando la sua rete industriale composta da una fitta maglia di partecipazioni incrociate ha iniziato a scoppiare in seguito alla crisi finanziaria globale.
Ne è risultato un cambio piuttosto repentino negli assetti societari, e una previsione che molto sia destinati a cambiare ancora. Fabio Bianconi, direttore della società di consulenza su corporate governance Morrow Sodali, ha dichiarato in questo ambito che il mercato italiano sembra essere diventato maturo per un maggior dinamismo in tal senso, soprattutto negli ultimi tre anni, spingendo soprattutto per la semplificazione aziendale con spin-off e cessioni.
Simbolo di questa evoluzione è il movimento compiuto dagli americani di Elliott Advisers, che hanno fatto il loro ingresso in Telecom Italia (TIM) all’inizio del mese scorso, dichiarandosi azionista di minoranza e sfidando l’ex azionista di controllo del precedente monopolio, il gruppo francese Vivendi, sul da farsi. TIM ha perso più di un terzo del suo valore di mercato da quando Vivendi ha iniziato a partecipare nel suo capitale in misura così rilevante, a metà 2015. Ed Elliott, fondata da Paul Singer, pioniere degli hedge fund di Wall Street, vuole ora che TIM venda parzialmente la sua rete fissa, possibilmente attraverso una quotazione, domandando anche la sostituzione dei manager di Vivendi.
Insomma, quanto basta per creare ben più di qualche scossone, che ha attualmente al centro del dibattito la società di infrastrutture di telecomunicazioni Retelit. Il fondo azionista tedesco Shareholder Value Management si è schierato contro un piano di altri investitori per deporre l’attuale amministratore delegato di Retelit, supportando di fatto l’attuale piano aziendale.
Al di là del caso TIM, e di altre azioni che possono contare ancora su una radicata presenza statale come le azioni ENI, la struttura azionaria delle società italiane è diventata complessivamente meno concentrata: quando la crisi finanziaria ha iniziato a ostacolare il credito delle banche, gli azionisti di controllo sono infatti stati costretti a collocare parte delle loro partecipazioni presso investitori istituzionali, contribuendo a formare l’attuale composizione di proprietà.
E per il futuro? Difficile cercare di prevedere che cosa potrebbe accadere, anche se sembra quasi certo che l’evoluzione che abbiamo in parte già apprezzato negli ultimi anni possa trovare ulteriore consolidamento. Non ci resta dunque che attendere i progressi, convinti che in alcuni settori – come quello finanziario – saranno probabilmente più visibili di altri, e che comunque il panorama previgente difficilmente tornerà in auge, sostituito da un nuovo sviluppo che potrebbe condurre a una maggiore semplificazione, e a un maggior coinvolgimento dei fondi di investimento internazionali.